Verona sembra subire l’attrazione fatale che ha portato Romeo Montecchi al suicidio, credendo che Giulietta fosse morta. Sembra infatti che i cittadini tutti, dai politici agli operatori economici, dai professionisti agli universitari, dai giovani ai pensionati, subiscano il fascino di un decadimento che non ha eguali dal dopoguerra ad oggi e siano incapaci di pensare, progettare, dare inizio ad un rinascimento collettivo.
All’inizio di questo secolo, Verona poteva diventare il secondo polo finanziario italiano, voleva ridisegnare la mobilità cittadina, accoglieva mezzo milione di spettatori per l’estate areniana, raggiungeva livelli turistici quale terza meta italiana, manteneva, soprattutto d’estate, un buon livello culturale, dal Teatro Romano al teatro nei cortili, dalle grandi mostre all’esposizione delle cento favolose opere giacenti nei magazzini di Castelvecchio. In quegli anni, alla guida del Comune, si alternavano rappresentanze politiche di segno diverso, sorte dopo la pesante epurazione determinata da inchieste penali che, per numero, non furono inferiori a quelle milanesi di Tangentopoli. L’alternanza però non sembrava fondata su programmi realmente alternativi e da qui lo spegnersi di ogni progettualità.
In questi decenni, la coesione sociale sembra essersi del tutto perduta, le grandi realtà finanziarie hanno traslocato o stanno per farlo, le iniziative migliori sono affidate alla volontà di singoli (dalla casa-museo di Carlon, al generoso crowdfunding curato da alcuni professionisti), siano essi semplici cittadini o coraggiosi rappresentanti delle istituzioni culturali ed economiche.
Il lockdown e l’incertezza che stiamo vivendo hanno quindi colpito duramente un sistema divenuto fragile ed hanno evidenziato la difficile situazione delle grandi realtà rappresentative di questa città: l’Arena e Cattolica, per intenderci, ma la lista potrebbe essere lunga.
Cosa si può fare in questa situazione, al di là della ricerca delle responsabilità, ricerca di scarso interesse pratico e soprattutto fortemente e negativamente divisivo?
Cominciamo a pensare cosa può fare un semplice cittadino, a partire dall’imporre a se stesso un atteggiamento di generale rispetto, come unità di misura etica: rispetto per sé stesso, per gli altri, per l’ambiente.
Cominciamo a pensare che in questi mesi siamo stati costretti a muoverci di meno e questo ha reso più pulita la nostra aria e meno tesi i nostri nervi e che dunque si può vivere anche riducendo l’inquinamento, derivante da una mobilità superata, e si può progettare un modo nuovo di comunicare e di muoversi.
Etica, osservanza delle regole, rispetto sono alla portata di ciascuno di noi e possono essere praticati da subito, senza sperare in mutamenti miracolosi, ma confidando nell’emulazione delle buone abitudini.
A quanto sembra la politica non è più in grado da sola di gestire, in modo proficuo, la collettività: questo non solo nella nostra città e nel nostro paese, ma nel mondo intero. Se infatti nei diversi confronti elettorali, la distanza di voti tra candidati è sempre meno marcata ciò dipende dalla mancanza di programmi realmente diversi, innovativi e, per una parte almeno, utopici, perché frutto di grandi speranze.
E’ dunque un’utopia per persone concrete pensare che nella nostra città la rinascita passi attraverso i cittadini e la comunità e non tanto attraverso tornate elettorali, locali, regionali, nazionali.
Verona infatti ha un alto numero di Associazioni, di Fondazioni che si propongono fini altruistici, un alto numero di realtà culturali storicamente radicate e molto attive, un tessuto economico tra i più ricchi in Europa.
Occorre che queste realtà si parlino e progettino una rinascita della cultura e dello spirito di solidarietà, contro la chiusura del singolo cittadino in un vuoto e rancoroso egoismo.
Pensiamo allora ad una Consulta cittadina, che raggruppi queste realtà vive assieme al mondo degli imprenditori, che a Verona vede soggetti importanti, la cui fantasia innovativa consente di competere con i colossi mondiali.
Una Consulta che riprenda ed attivi il programma di salvataggio della Fondazione Arena: con i soci di oggi, la gestione affidata all’Ente Fiera, la facilitazione ad ogni intervento finanziario pubblico o privato, un programma artistico più audace, un direttore d’orchestra stabile.
Per quanto riguarda la trasformazione in SpA di Cattolica Assicurazioni non si dovrebbe ragionevolmente contrastarla. La cooperazione ha altre forme per esprimersi e la contendibilità delle società quotate è un presupposto necessario per il loro sviluppo e per la proficuità dell’investimento di ogni socio, piccolo o grande. E’ importante invece mantenere a Verona l’occupazione dei dipendenti e la sede, così da non perdere l’ultima grande realtà finanziaria.
Dalla trasformazione di Cattolica deriveranno flussi finanziari importanti per i soci che recederanno. E questi flussi, unitamente al risparmio delle famiglie veronesi, possono essere destinati al sostegno dello sforzo comune della città, investendone una parte a favore della comunità, con la sottoscrizione di titoli garantiti che convoglino finanze fresche alla riconversione produttiva di ciò che il Covid ha distrutto o sta distruggendo.
Per AGSM si scelgano i partners secondo criteri industriali oggettivi e con procedure trasparenti, come avviene nelle imprese che stanno sul mercato.
Si ricostruisca la scuola, anche al di là dell’obbligo scolare, per formare giovani adeguati a tempi difficili; che porti la cultura a casa di tutti e l’amore per il bello nella testa di ciascuno.
Si crei una vera e propria scuola di politica, apartitica ed affidata a docenti internazionali esperti, senza dimenticare che Verona esprime importanti studiosi di filosofia della politica.
E così via, sognando di cambiare giorno per giorno le istituzioni pubbliche e le abitudini di ciascuno, consapevoli che l’essere umano non cambia mai, salvo assumere abitudini diverse per adattarsi al cambiamento, come ci insegna Darwin.
E il cambiamento della nostra città non passa attraverso liste elettorali regionali o comunali, formazione di liste civiche o partitini, ma attraverso l’edificazione, mattone per mattone, del senso di appartenenza ad una città bellissima ed unica.
Perché impegnarci dunque per rendere realistica l’utopia di una rinnovata convivenza?
Perché Giulietta non è morta e Romeo può vivere felicemente.