Milano era la capitale morale dell’Italia degli anni ’60, perché esprimeva una
forte etica del lavoro che la avvicinava all’etica calvinista delle grandi città del
nord Europa.
Poi è arrivata la Milano da bere, seguita necessariamente da Tangentopoli.
La Verona degli anni ’60 consolidava un forte tessuto produttivo, accentuando
la vocazione terziaria che ne faceva la porta dell’Europa del Nord. E questo
grazie anche ad un governo municipale illuminato (Zai, Quadrante Europa,
piano regolatore) e ad una forte presenza di un capitalismo temperato, fondato
sull’etica cattolica.
Poi arrivarono i ruggenti anni ’80 e le inchieste della Procura per corruzione
furono persino superiori a quelle milanesi.
Se Milano ha ripreso il suo ruolo con l’Expo, c’è da chiedersi se Verona saprà
sfruttare qualche occasione (PNRR, Olimpiadi invernali a Cortina) per
trasformare una città in una capitale, decidendo anche la capitale di cosa.
Volendo, la nostra città può proporsi come capitale di quell’area
economicamente importante d’Italia (che un sociologo definisce LOVER:
Lombardia, Emilia, Veneto) dove si concentra la più alta produttività del nostro
paese e si condivide un concetto omogeneo di abitare e di vivere.
La nostra città potrebbe accompagnare le forme di capitalismo temperato che
hanno reso grandi molte attività produttive, con un modello di convivenza
attrattivo.
In effetti, per diventare la capitale morale di questa macro regione non serve
molto, ma quel poco potrebbe risultare irraggiungibile.
Innanzitutto perché serve fare sistema con altri territori e questo non è nel
carattere della città. Se si esclude la recente e alquanto tribolata vicenda
AGSM-AIM, molte altre realtà sono diventate lussuosa preda esterna
(Cariverona, Banco Popolare, Cattolica).
Ma nel comparto industriale è avvenuto spesso il contrario (AIA e Bauli, per
tutti) e questo perché il concetto del fare e del fare bene sono una
componente importante dei nostri settori produttivi.
Ricordiamo inoltre che sul territorio è rimasta una delle più importanti
fondazioni bancarie.
Qui non sono fallite le banche del territorio ed anzi sono cresciute le banche
cooperative. Qui non si sono verificati fallimenti drammatici, ma si è assistito
ad una transizione dolce delle produzioni divenute obsolete.
Ciò che si è realizzato è stato frutto di una felice convivenza e di due
fondamentali criteri: la meritocrazia e la solidarietà.
Se si vuol dare un colore politico a questi due temi, si può dire che la
meritocrazia appartenga un po’ più a chi si considera politicamente
conservatore e la solidarietà appartiene un po’ più a chi si considera
politicamente progressista.
La compresenza di queste due visioni ha prodotto molto e sicuramente ha
animato quei veronesi – e non sono pochi – che hanno reso grande questa
città. Gli stessi principi potrebbero oggi renderla più grande e renderla capitale
di una macro regione, divenendo un modello di temperanza sociale e non solo
per scalare le classifiche italiane che trasformano gli indici sociologici in una
graduatoria nazionale. Ma per diventare capitale attrattiva di capitali, ma
anche di cultura e di buon vivere.

Molto però c’è da fare: non serve continuare a parlare di progetti belli e
condivisibili, se poi non vi sono i mezzi per realizzarli (Arsenale, Central Park,
stadio, mobilità cittadina).
Nuoce alla città consentire a non pochi tifosi di confondere la passione con la
violenza.
Nuoce alla città alimentare polemiche giornalistiche sul destino delle grandi
risorse quali l’Arena, la Fiera, l’Aeroporto.
Nuoce alla città non sfruttare pienamente i grandi giacimenti culturali, dando
loro risorse e spazi adeguati.
Verona è un museo a cielo aperto che merita di più, così come l’area del
Museo di Castelvecchio. Queste ricchezze potrebbero essere note nel mondo,
tanto quanto oggi lo sono l’Arena e il mito di Giulietta.
Il governo cittadino di qualunque parte politica sia oggi e sarà domani,
dovrebbe concentrarsi maggiormente su questi e altri temi, coniugando merito
e solidarietà
Quel poco che serve per diventare grandi non è poi così poco.
Ma non è neppure irraggiungibile.