Intervento introduttivo

Introducendo questa assemblea aperta, che coinvolge il mondo che ruota
intorno a Manni Group, permettetemi di ringraziare Giuseppe, Francesco Manni
ed Enrico Frizzera per avermi chiamato, per il secondo anno consecutivo, a
questa prestigiosa presidenza.
I vertici della società ci illustreranno i risultati ottenuti nel 2018, in un periodo
storico di turbolenze, con il ritorno dei protezionismi tra stati ed i conseguenti
dazi, delle guerre commerciali che agitano una buona parte del mondo, con un
sensibile aumento dei prezzi delle materie prime.
In un quadro del genere occorre complimentarsi con chi riesce, nonostante
tutto, a crescere come fa lo skipper che conduce la barca a vela anche quando
il vento è contrario.
I dati significativi del rendiconto del 2018 segnalano un’importante crescita dei
ricavi, l’incremento dell’investimento e del numero di occupati, gli interventi attivi
per ridurre l’impatto ambientale, l’adozione del codice etico della società.
La crescita dei ricavi è sensibile ma, quello che preme sottolineare è che è
vissuta in Manni come un mezzo e non un fine; non un investimento in potenza
produttiva per aumentare la stessa potenza produttiva, ma finalizzare la crescita
economica e lo sviluppo della cultura dell’impresa, dell’ambiente, della
responsabilità e dell’etica.
Assegnare alla crescita economica il fine dello sviluppo della cultura, significa
recuperare il senso profondo di una crescita che può determinare “felicità
sociale”.
Senza queste finalità, la crescita fine a sé stessa determina disoccupazione (la
sostituzione delle macchine all’uomo era contrastata dai tempi di Diocleziano,
che fece distruggere un marchingegno che serviva per costruire templi,
monumenti ed arene sostituendosi alla manodopera).
La crescita fine a se stessa determina disuguaglianze. Infatti anche se il tenore
di vita nel mondo degli ultimi 50 anni è complessivamente aumentato a

beneficio di tutti o quasi, una buona parte dei proventi di questa crescita sono
stati appannaggio di una piccola parte della popolazione mondiale, così
creando quelle sperequazioni che determinano turbolenze nel mondo.
Peraltro, uno dei pericoli maggiori nel nostro Paese (e non solo) è la rottura di
quell’equilibrio tra politica e mercato e cioè tra stato e impresa che ha costituito
l’essenza e la ricchezza della democrazia industriale mondiale e che ha
consentito lo straordinario sviluppo in Italia e nel mondo dal dopoguerra sino ai
tardi anni ’60.
Esautorare i luoghi della democrazia in cambio di una feticizzazione del voto
popolare significa spostare l’equilibrio a favore di una piccola oligarchia, che
non rappresenta purtroppo neppure gli ottimati di ateniese memoria, i quali, per
lo meno, si distinguevano per cultura, capacità di interpretare la realtà presente
e futura, onestà e morigeratezza.
La cultura dell’impresa responsabile dovrebbe costituire l’interlocuzione
privilegiata della politica. E così oggi non è.
Ma dicevamo che la crescita di Manni ha per fine la crescita culturale e questo
è immediatamente visibile nella capacità di comprendere il rischio universale
che fa correre il nostro pianeta verso la distruzione e contro la quale, con
ampiezza di mezzi e di visione, il gruppo Manni investe in procedure, prodotti e
attenzioni che limitano il rischio ambientale.
Investire in cultura significa per Manni dotarsi di un codice etico, come ha fatto
nel 2018. Il fatto di per sé potrebbe non essere necessariamente positivo:
conosciamo molti codici deontologici ed etici che si sono prodotti nel nostro
Paese dal ’92 in avanti, senza poter evitare una – e dicasi una – fattispecie
corruttiva.
Il fatto è che quando un’azienda ha come fine una crescita economica
responsabile e finalizzata a scopi complessivi e non semplicemente
autoriproducentisi, la cultura della legalità e la cultura della responsabilità sono
già nel DNA di questa impresa e il trasferirla in un codice etico è semplicemente
una rappresentazione verso l’eterno di valori che sono pienamente condivisi.

Dunque nell’operare di Manni Group intravvediamo una possibile speranza per
il nostro paese e per il nostro mondo, la speranza che si recuperi un equilibrio
tra politica e impresa, tra Stato e mercato, che il mondo si impegni davvero a
salvare l’unico pianeta che è stato concesso all’uomo, che fare impresa
significhi essere responsabili e coltivare la legalità delle prassi e delle finalità,
preservando l’occupazione.