1) L’attualità del pensiero di Gianni Tantini si può riassumere nei principi virtuosi a cui era informata la sua vita: l’amore per lo studio, la discrezione, il rispetto. Innanzitutto l’amore per lo studio e l’insegnamento, in nome del quale le sue pubblicazioni risultavano pionieristiche, al momento in cui il tema veniva trattato (dal finanziamento dei soci all’indipendenza dei sindaci), e condensavano in un numero ridotto di pagine l’essenza del problema.

La discrezione sulla sua attività professionale, nella quale ha vissuto ruoli molto prestigiosi, senza mai farne argomento di vanto.

Il rispetto per l’autonomia altrui, dimostrata, tra l’altro, nel rifiuto di commentare, sulle riviste a cui collaborava, i provvedimenti del Tribunale di Verona.

E poi la sua grande disponibilità nell’ascoltare tutti (dagli studenti, invitati sotto la grande quercia della casa di campagna per una “prova d’orchestra” che anticipava l’esame di commerciale, alla richiesta dell’avvocato, allora giovane, che gli chiedeva una prefazione ad una ricerca sull’orientamento dei Tribunali e della Corte veneti nell’applicazione del controllo giudiziario sulle società di capitali.

2) Da quella prefazione si ricava una considerazione di Tantini molto attuale, oggi che il codice della crisi (D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 375) ha esteso, di nuovo e con efficacia immediata: la denuncia di gravi irregolarità gestionali alle Srl (art. 2477, 7° co.), dopo averla esclusa per 15 anni (dal D.Lgs. n. 6 del 2003).

Nella prefazione ricordata, Tantini metteva in guardia sull’uso di quella norma, dimenticata dal 1942 “per essere più recentemente “riscoperta” in tutto il suo enorme potenziale, che ne fa uno strumento particolarmente efficace, e temuto da chi amministra, di reazione a comportamenti scorretti di chi detiene il potere di gestione dell’impresa.

Infatti, a fronte della lunghezza media del procedimento civile ordinario, con conseguente possibile “insabbiamento” delle azioni di responsabilità contro gli amministratori, o di impugnazione delle delibere assembleari, tradizionali strumenti a disposizione dell’opposizione alla maggioranza, con la denuncia ex art. 2409, i soci sono in grado di portare amministratori e sindaci davanti ai giudici in pochi giorni, e di ottenere nell’arco di poche settimane, se non di qualche mese (dove sia necessaria l’ispezione), provvedimenti particolarmente efficaci, che arrivano sino alla rimozione degli amministratori con la nomina di un amministratore giudiziario super partes.

La potenzialità, talvolta “esplosiva”, della denuncia ha provocato anche distorsioni e cioè l’uso estorsivo per non dire talvolta “ricattatorio” del procedimento da parte di minoranze interessate non già ad ottenere giustizia (cioè a ristabilire una corretta amministrazione), bensì a costringere la maggioranza ad acquistare le loro azioni, quando non semplicemente a pagare, circostanza che non emerge nella giurisprudenza, ma ben nota ai Giudici.”  (prefazione a L. Lambertini, Gestione irregolare della società di capitali e controllo giudiziale, secondo la giurisprudenza veneta, Verona, Cierre Edizioni, 1993, 7 e 8).

3) Non sappiamo se le parole di Tantini furono ascoltate dal legislatore della riforma delle società di capitali del 2003-2004, che ritenne di evitare per le Srl l’applicazione di uno strumento così incisivo e limitò la tutela concessa alle minoranze all’art. 2476, 3° co.

Per il vero, diversi giudici di merito e una dottrina minoritaria ritennero che l’art. 2409 c.c. si applicasse anche alle Srl, se dotate di Collegio sindacale obbligatorio, in virtù del richiamo operato dall’art. 2477, 4° co., alle norme sul Collegio sindacale delle SpA (in dottrina: Guidotti, Il controllo giudiziario sulle Srl con collegio sindacale, Contratto e impresa, 07, 224; Nazzicone, Sub art. 2409, Trattato Lo Cascio, 307; in giurisprudenza: Tribunale Roma, 6.7.2004, Soc. 04, 1375; Trib. Milano, 8.7.2005, F.It. 06, 1239).

4) Oggi, i timori di Tantini, che giudicava questa norma “la bomba atomica del conflitto societario” sarebbero sicuramente aumentati, pensando al 2° co. dell’art. 2086, introdotto dal Codice della crisi, immediatamente applicabile.

Infatti il 2° co. dell’art. 2086, che deve ritenersi riferito a tutte le società commerciali, recita: “L’imprenditore che opera in forma societaria o collettiva ha il dovere di costituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa.”

Chiunque conosca la realtà delle imprese piccole o medio/piccole sa che l’organizzazione è spesso embrionale, sia a livello amministrativo, che contabile.

In effetti, la struttura organizzativa va intesa come distribuzione dei compiti e delle mansioni nei sistemi operativi che guidano il comportamento delle persone che fanno parte della organizzazione e questo comporta la pianificazione, il controllo, l’informazione e la gestione del personale

Il concetto di adeguatezza nell’assetto organizzativo implica amministratori tecnicamente preparati, strutture amministrative affidabili, presidi e controlli costanti, per garantire risultati efficienti.

In realtà le nostre aziende, anche quelle che hanno retto durante la crisi e continuano ad ottenere risultati eccellenti, sono disorganizzate al punto da non aver organigrammi definiti e controlli efficienti. E quello che si registra a livello aziendale si ripete a livello societario, in cui spesso l’assemblea non funziona, perché non viene chiamata a deliberare in un vero confronto tra soci e lo stesso organo amministrativo tiene le proprie riunioni sulla carta, ma non nella realtà.

Nella realtà organizzativa, siamo ben lontani dai principi di soft law enunciati nel codice di autodisciplina predisposto nel ’17 dall’AIdAF, l’associazione più rappresentativa delle aziende familiari italiane, che sconsigliava uno dei difetti essenziali del nostro sistema aziendalistico e cioè la concentrazione di poteri in mano ad una sola persona.

Concentrazioni come questa, secondo il Codice di autodisciplina che stiamo commentando, hanno “reso difficile la creazione di imprese familiari italiane in grado di raggiungere le dimensioni pari a quelle dei competitor internazionali nei loro settori di riferimento” (pag. 10). Peraltro lo stesso codice richiede che il Consiglio di Amministrazione “allorché abbia conferito al Presidente deleghe gestionali, fornisce motivazioni adeguate in merito alle ragioni di tale scelta organizzativa”.

Il codice raccomanda inoltre la costituzione di comitati nell’ambito del Consiglio di Amministrazione (nomine, remunerazione, controllo e rischi), prassi inesistente in quasi tutte le società piccole e medie.

Vengono consigliate sessioni di formazione per i consiglieri, ovviamente inesistenti nella società che stiamo esaminando.

Al paragrafo 2C 11 il Codice di autodisciplina descrive la mancanza di indipendenza di un amministratore (e quindi il suo potenziale conflitto di interessi, quando

“a) se direttamente o indirettamente, anche attraverso società controllate, fiduciarie o per interposta persona, controlla la società;

  1. b) se è in grado di esercitare sulla stessa un’influenza notevole

[….]

  1. h) se è uno stretto familiare di una persona che si trovi in una delle situazioni di cui sopra”.

Situazioni tutte direttamente riscontrabili nelle piccole e medie imprese e che integrano vere irregolarità relative alla gestione concreta dell’impresa sociale.

E il riferimento alla gestione impone dunque di verificare l’esistenza delle irregolarità nell’esercizio non di singoli atti (o per lo meno non soltanto di singoli atti), ma dell’attività di gestione dell’impresa societaria nel suo complesso (Domenichini, Art. 2409 c.c., in Società di capitali, commentario a cura di Niccolini-Stagno-D’Alcontres, II, Iovene, 2004, 788).

Rientrano dunque tra le irregolarità non solo le violazioni di compiti specifici non attinenti alla gestione in senso stretto, ma anche l’ordinato svolgimento dei poteri tra organi della gestione.

Dunque se l’attività di gestione deve ispirarsi all’osservanza della legge e dello statuto, al rispetto dei principi di corretta amministrazione ed in particolare all’adeguatezza dell’assetto amministrativo, organizzativo e contabile adottato dalla società e al suo corretto funzionamento, poche realtà aziendali potrebbero reggere al vaglio giudiziale particolarmente intenso che la procedura ex 2409 prevede.

Un’esemplificazione, anche breve, può essere istruttiva.

Si è affermato infatti che: “integra grave irregolarità, che legittima una denuncia al Tribunale ex art. 2409 c.c., il conflitto di interessi dell’amministratore che comporti l’invalidità o irregolarità di delibere o atti dalle quali siano derivate perdite patrimoniali” (Trib. Catanzaro, 18 luglio 2016, in ilsocietario.it., 14 marzo 2017). Pensiamo poi non solo alla pur diffusa “doppia contabilità” (ufficiale e non), ma anche ai benefit (chiamiamoli così) che molti imprenditori si riconoscono, per garantire l’agiatezza propria della famiglia, a scapito dei conti aziendali.

Pensiamo all’amministratore che svolga lo stesso ruolo in diverse società e ne confonda la gestione (Trib. Roma, 19.5.1983, in Le società, 1983, 1285).

Pensiamo all’amministratore che, pur essendo cessato ex lege dalla carica, continui ad esercitare i propri compiti amministrativi (Trib. Verona, 29 gennaio 1993, inedito).

Questa breve casistica sembra sufficiente per descrivere la mole di irregolarità quotidianamente riscontrabile nella vita delle nostre società medio-piccole.

Da qui la preoccupazione per quello che potrà accadere a partire dai prossimi mesi. Il controllo giudiziario, attivato dal solo sospetto di gravi irregolarità, può arrivare ad una ingerenza molto penetrante, nell’organizzazione aziendale, con la nomina dell’ispettore giudiziario.

E, quando le irregolarità siano riscontrate, il tribunale può emanare provvedimenti assai severi, per impedire il prodursi di danni derivanti da un’amministrazione irregolare, sino ad arrivare alla revoca degli amministratori e alla loro sostituzione, con un amministratore giudiziario.

5) La prefazione di Gianni Tantini, sopra ricordata, si riferiva ad un lavoro che a suo tempo aveva verificato gli effetti concreti di questa realtà, esaminando la giurisprudenza della Corte di Appello di Venezia dal gennaio 1986, al giugno 1992 (Lambertini, Gestione irregolare delle società di capitali e controllo giudiziale secondo la giurisprudenza veneta, citato), riscontrando che l’80% delle società a responsabilità limitata a cui erano stati applicati provvedimenti rigorosi  ex art. 2409 erano state successivamente dichiarate fallite.

Vi erano dunque motivi di opportunità, oltre che giuridici, perché, prima dell’introduzione del codice della crisi, il problema dell’applicabilità dell’art. 2409 alle società a responsabilità limitata fosse, come ricordato, oggetto di un contrasto importante in giurisprudenza, con una serie di sentenze contrastanti, sino al 2010. Data in cui è intervenuta la Cassazione (13 gennaio 2010, n. 403, in Soc., 2010, 665, con nota di Cardarelli e in Giur. It., 2010, 595 con nota critica di Weigmann) che ha dichiarato l’inapplicabilità del controllo giudiziario delle società per azioni alle Srl. Ma oggi il pericolo è tornato attuale, con l’aggravante che la riforma dell’art. 2086 c.c. impone all’amministratore precetti organizzativi tanto concreti e ineludibili quanto inapplicati nella pratica.

6) Dunque, negli ultimi 15 anni, le nostre Srl hanno goduto un trattamento di favore che le ha protette da un controllo giudiziario intenso e astrattamente devastante, come diceva nel ’93 Gianni Tantini che, lo abbiamo già ricordato, definiva il 2409 la “bomba atomica” del contenzioso societario.

Ai tempi della guerra fredda (e forse ancora oggi) il timore di una guerra atomica ha costituito il deterrente che ha garantito la pace rispetto all’alternativa che avrebbe cancellato l’uomo dal nostro pianeta.

Non siamo sicuri che l’introduzione del 2409 per le Srl possa avere la stessa efficacia deterrente e possa allontanare i pericoli di un uso diffuso (e magari estorsivo) della denuncia di gravi irregolarità gestionali.

Se gli operatori del diritto avessero la scienza e la prudenza di Gianni Tantini, potremmo confidare in un uso ragionato e ragionevole della norma.

Ma purtroppo, le qualità di Gianni non sono così diffuse tra gli operatori del diritto. E non solo.