Nel caso di crisi di impresa e di ristrutturazione del debito sono frequenti le operazioni sul capitale (aumento o ricostituzione) destinate ad investitori terzi, capaci di apportare nuova finanza, escludendo, in tutto o in parte, i soci che detengono le partecipazioni sociali.
L’esclusione (o la limitazione) del diritto di opzione dei soci richiede però la prevalenza comprovata di un interesse diverso dalla realizzazione dello scopo lucrativo comune a tutti i soci.
L’art. 2441 c.c. infatti prevede che il diritto d’opzione “possa essere escluso o limitato, con la deliberazione di aumento del capitale sociale quando l’interesse della società lo esige”.
I contrasti interpretativi sulla rilevanza dell’interesse sociale vedono prevalere una visione per la quale la sottoscrizione dell’aumento di capitale, ad opera del terzo, si prospetti in concreto “preferibile” nei confronti di scenari diversi, al fine di raggiungere un risultato utile sul piano economico-patrimoniale. (Così: Trib. Milano, 31 gennaio 2005, in Giur. It., 2005, 1865; Marchetti, art. 22 e 23, in DPR 10 febbraio 1986 n. 30, in Nuove leggi civili commentate, 1988, 1, 180).

Si precisa peraltro che l’interesse della società debba essere concreto ed effettivo e non astratto o potenziale (tra le altre, Trib. Milano, 7 febbraio 2006, in Soc. 2006, 853; Cass. 7 novembre 2008, n. 26842, in Soc., 2009, 26).
Occorre dunque operare una precisa identificazione degli elementi su cui si debbono verificare i concetti di necessarietà o di preferibilità dell’operazione. Concetti questi che impongono di concentrarsi “sull’intera operazione di aumento di capitale con esclusione dell’offerta in opzione ovvero, (omissis) atteso che l’art. 2441, co. 6° impone agli amministratori, nel più generale contesto dell’illustrazione delle “proposte di aumento di capitale” un onere di specifica puntualizzazione delle ragioni “dell’esclusione o della limitazione” e non in via diretta dei motivi dell’aumento di capitale a cui quell’esclusione si colleghi (con un nesso di necessarietà o convenienza). E. Ginevra, Art. 2441, in Le società per azioni, diretto da Abbadessa-Portale, tomo II, Giuffrè, 2016, p. 2629).
Se ne ricava che l’esclusione può considerarsi legittima, con conseguente validità della delibera, solo se è indispensabile per la realizzazione anche dell’interesse sociale, ma soprattutto in un contesto di crisi di impresa solo se è indispensabile, per la realizzazione del piano di ristrutturazione che sottende la delibera di aumento di capitale. Si deve dunque dimostrare che quel piano di ristrutturazione impone necessariamente un collocamento esterno dell’aumento o della ricostituzione del capitale.

Se i soci pretermessi non sono in grado di provvedere alla ricapitalizzazione e al risanamento della società, dovranno dichiarare formalmente la loro indisponibilità. In tal modo si eviteranno impugnazioni della delibera assembleare. Compete peraltro al giudice verificare il nesso logico di inevitabilità dell’offerta a terzi, per la riuscita di quella specifica operazione di aumento di capitale oggetto del piano di risanamento.
L’interpretazione restrittiva della norma si giustifica per evitare che il terzo approfitti della “rassegnazione” dei soci ed acquisisca a loro danno la proprietà della società.
L’esclusione o la riduzione del diritto di opzione costituisce dunque un’ipotesi residuale nell’aumento o nella ricostituzione del capitale sociale.