Il sistema delle banche popolari in generale era basato su relazioni con l’impresa, caratterizzate da una forma di relationship landing tutta italiana, in cui mancava la trasparenza sulla disciplina richiesta dall’esposizione alle fluttuazioni del mercato, per privilegiare una flessibilità di fronte alle fluttuazioni cicliche, un elevato grado di adattamento, che nel lungo periodo ha dimostrato considerevoli limiti: scoraggiare la crescita per discontinuità, temendo l’innovazione nel governo delle imprese e nella loro organizzazione.

Un sistema finanziario banco centrico e fondato su relazioni fiduciarie di lungo periodo garantisce infatti buoni risultati, quando il tessuto produttivo è frammentato in molte imprese di piccole dimensioni, quando la produzione e la diffusione di informazioni è oscillante e molto costosa (e conseguentemente manca la trasparenza), quando il sistema giudiziario non è in grado di garantire con rapidità una piena protezione dei contratti e quando l’innovazione procedere senza strappi, in modo da incrementarsi progressivamente.

Un sistema finanziario così strutturato ha però finito per compromettere la capacità allocativa e selettiva delle banche ed ha severamente limitato lo sviluppo del mercato mobiliare, con conseguenze importanti sulla struttura finanziaria delle imprese.

Ne è risultata una struttura delle aziende piccolo-medie italiane fortemente sotto patrimonializzata, con significative difficoltà di accesso alla finanza esterna, fortemente dipendenti da prestiti bancari di breve periodo.

Il banchiere locale ha ragionato in termini di continuità di impresa, di fronte ad una crescita senza fratture, né proprietarie, né manageriali, sulla base di linee di sviluppo tradizionali. Il banchiere locale era quindi disponibile ad aiutare il proprietario anche quando entrava in difficoltà, ma non a stimolare il cambiamento.

Al contrario, basando le proprie valutazioni dei rischi sui dati di conoscenza personale, tendeva a favorire tutto ciò che conservava questo patrimonio di conoscenza, patrimonio rappresentante il vero vantaggio competitivo.

E questo è avvenuto anche in distretti industriali o commerciali notevolmente innovativi, come quelli presenti in Veneto.

Il fatto è che casse rurali, banche di credito cooperativo e banche popolari, anche nei momenti di crisi hanno assicurato quella linea di liquidità che ha garantito il credito al territorio. E così il periodo 1996/2006 ha rappresentato la grande espansione territoriale delle banche popolari. Ma poi è arrivata la crisi, la più grave che il nostro sistema abbia conosciuto.

La recessione ha determinato effetti sconvolgenti: dal 2009 crolla il 25% del sistema manifatturiero e nell’edilizia falliscono quattro aziende su dieci.

Per questo le aziende non riescono a restituire il denaro preso in prestito e così, laddove a garantire finanziamenti è soprattutto il sistema bancario, dal 2009-2010 la crisi economica diventa anche crisi del credito.

Chi soffre di più in questi casi sono le banche più concentrate su alcuni territori e distretti, come le banche venete.

“In Veneto, infatti, la crescita tumultuosa dell’economia ha creato nel tempo crediti in sofferenza. E qui nasce il grande paradosso della Popolare di Vicenza e di Veneto Banca. Il Nordest è stato falcidiato dalla crisi. Le banche, nessuna esclusa, faticano a recuperare i soldi prestati. Eppure, con il beneplacito della Banca d’Italia, negli anni neri della recessione, le due grandi popolari non quotate del Nordest… crescono, distribuiscono dividendi, acquistano altri istituti”  (Greco-Vanni, Banche impopolari, Mondadori, 2017, p. 153).

Sappiamo poi come è andata e lasciamo al futuro storico dell’economia ricostruire le cause del dissesto, una volta che si sia depositata la polvere di una specie di rumorosa rivolta popolare, di cui il nostro paese ha dato molti esempi nel passato remoto o recente, da Masaniello alle quote latte.

Resta il fatto che oggi un intero comparto della nostra economica industriale è rimasto privo dell’abituale supporto finanziario, rischia di subire le iniziative giudiziali per il recupero dei propri debiti incagliati e teme che l’innegabile ripresa del nostro Paese si blocchi per mancanza di credito alle aziende di minori dimensioni.

Scomparso il sistema delle popolari, restano le BCC, impegnate peraltro in un processo di aggregazione complesso.

E’ in questa situazione che le imprese italiane e venete debbono trovare la lucidità per riformare il loro ricorso al credito, sostituendo la banca con gli strumenti che una finanza non creativa ma solida può garantire.

Non è sempre necessario proporsi una quotazione ad uno dei nuovi mercati, che peraltro mostrano una grande vitalità.

Si può trovare più facilmente credito, se ed in quanto si è disponibili a dare alla propria impresa un carattere non familistico o personalistico, ma un’impronta di gestione manageriale, trasparente ed efficace.

Non è necessario comunicare i propri segreti industriali per accedere al credito. E’ necessario però capire che l’investitore deve avere piena conoscenza dell’attività dell’impresa, del modo in cui è governata, dei progetti a cui è destinata.

In questo modo il finanziamento della banca diventa meno importante e l’imprenditore potrà utilizzare un credito più dinamico e più proficuo.

Nell’attuale contesto di mercato è pertanto necessario, anche in prospettiva, valutare nuove forme di intermediazione finanziaria che possano soddisfare le esigenze di credito ed in particolare il finanziamento degli investimenti a lungo termine delle PMI.

In questo senso, risulta fondamentale per le imprese accedere una provvista a lungo termine, classicamente ottenibile con l’equity, ma anche con molteplici forme di strumenti di debito o ibridi.

La componente debito di mercato è senza dubbio ancora relativamente poco sviluppata in Italia ancorché, come riportato nella cronaca finanziaria vi sia stato nell’ultimo anno un boom di emissioni di bond e minibond tra le imprese del Nordest. Il Veneto è in testa alla classifica con 490 emissioni, pari al 27,1% del totale, seguito dalla Lombardia con 407, pari al 22,5%.

Sembrerebbe dunque che la cultura finanziaria del Nordest stia cambiando,

Il credit crunch degli ultimi anni ha comunque favorito lo sviluppo del mercato del debito a medio-lungo termine anche per le PMI e al riguardo si segnalano, le emissioni di obbligazioni (i c.d. mini-bond), l’emissione di obbligazioni subordinate partecipative e formule di securitization[1].

Altro canale di finanziamento sono le operazioni di cartolarizzazione che consistono nella cessione di crediti o altre attività finanziarie capaci di generare flussi pluriennali e nella loro successiva conversione da parte degli acquirenti in titoli negoziabili da collocarsi sui mercati. La securitization permette, di fatto, una redistribuzione dei rischi verso il mercato dei capitali, allargando la dimensione del funding disponibile.

In conclusione, se è vero che le imprese italiane e in particolare quelle familiari hanno gestito con efficacia la crisi, rendendo più efficienti le aziende, esse dipendono ancora in modo preponderante dal credito bancario che nonostante i segnali di ripresa e il ritorno all’apertura del mercato del credito, è comunque prospetticamente orientato ad una progressiva disintermediazione creditizia.

Gli strumenti di funding non tradizionale dei mercati di capitale di rischio e di debito e la securitization possono svolgere un ruolo fondamentale per una finanza aziendale più solida e compatibile con strategie di crescita delle imprese.

 

 

 

 

 


[1] Si trascurano le cambiali finanziarie, meno rilevanti nell’ottica del rafforzamento strutturale della finanza aziendale, e il crowfunding.