Quasi tutte le iniziative che si rivolgono alle aziende di famiglia sono concentrate su di un momento nevralgico e spesso traumatico: il passaggio del testimone dall’imprenditore a chi gli deve succedere. In effetti è sempre difficile determinare il momento più opportuno e la persona più adatta a proseguire nella direzione dell’azienda.
Ed è giusto quindi che una buona parte delle analisi giuridiche e di tecnica aziendale si concentrino nella preparazione e nella gestione del cambio generazionale.
Ci si dimentica a volte però che l’imprenditore che trasferisce il suo potere, non sempre – forse meglio: quasi mai –, ha completato il suo compito.
Se è vero infatti che le aziende di famiglia condotte da un ultra settantenne cominciano spesso a declinare (ma le eccezioni sono tante: si vedano Buffett e Del Vecchio, ad esempio, ma anche diversi avvocati italiani al vertice della professione), è anche vero che non si può e non si deve rinunciare alle esperienze e alle capacità di chi ha diretto l’azienda, ha individuato il successore e molto ancora ha da dare e da fare.
Non più in prima linea, evidentemente, perché energia e freschezza potrebbero apparire appannate, anche quando non lo sono. Ma sicuramente sono intatte le capacità di consigliare, di elaborare strategie aziendali vincenti, di fare sintesi su informazioni provenienti da settori diversi.
E allora è meglio non pensionare l’imprenditore in età, come non si butta il bambino con l’acqua sporca.
Gli antropologi osservano come nelle società tradizionali i vecchi vengano rispettati per questa loro capacità e vengano utilizzati per questa loro preziosa funzione.
Le qualità “Utili che tendono ad aumentare con l’età, comprendono l’esperienza nel proprio campo di attività, la capacità di inquadrare le persone e di gestire i rapporti personali, la disposizione ad aiutare il prossimo senza egocentrismi e infine quelle capacità di ragionamento sintetico-interdisciplinare che consente di risolvere problemi complessi, facendo interagire più dati” J. Diamond, Il mondo fino a ieri – Che cosa possiamo imparare della società tradizionali, Einaudi, 2012, 238-2039.
Il mutare dei punti di forza induce molti lavoratori anziani a dedicare una parte preponderante dei loro sforzi a compiti di supervisione, amministrazione, consulenza, insegnamento, elaborazioni di sintesi e strategie, contribuendo a prendere decisioni strategiche sul futuro delle loro aziende.
Passaggi generazionali troppo frettolosi, anche quando individuano il parente (il figlio, il nipote) o il terzo a cui affidare il comando dell’azienda, tendono a “ibernare” il precedente imprenditore magari nominandolo “presidente onorario” o costruendogli una mitologia su misura (biografia,

fondazione o altro) per evitare che possa fare danni.
Oggi, il presidente di una regione marinara sostiene che i vecchi non sono produttivi e possono morire di Covid senza arrecare danno al nostro sistema economico. Ci manca solo che sostenga che il Covid non esiste e che la morte di decine di migliaia di italiani è opera dell’INPS!
Se vuole, siamo in grado di dimostrare, con esempi concreti, a cosa serve e quanto serve l’imprenditore che ha risolto positivamente il passaggio generazionale e non ha nessuna voglia di passare il suo tempo sui campi da golf o risolvendo i cruciverba della Settimana Enigmistica.
E neppure a leggere i giornali che riportano le sciocche considerazioni di un presidente di Regione.